Intervista a Erri De Luca
“…e per la tranquillità di chi va per mare
e per ogni lacrima sul tuo vestito,
per chi non ha capito”.
Santa Lucia – Francesco De Gregori (Bufalo Bill, 1976)
Erri De Luca è il Maestro delle Parole. Ha scritto: “i libri più degli anni e dei viaggi spostano gli uomini” (Tre Cavalli, 2000). I suoi libri e le sue parole magiche ci hanno fatto viaggiare, in volo sui continenti, a spasso fra i pianeti e di corsa a perdifiato fra le pieghe dell’anima. L’uomo ha la faccia scolpita nella pietra dei secoli. Racconta, davanti al pubblico del Teatro Pavone, racconta dei suoi ricordi e dei suoi pensieri, del suo personalissimo modo di riempire d’inchiostro fogli a righe (“quelli a quadretti vanno bene per i numeri, e poi mi ricordano le vite recluse…”), dei suoi viaggi e dei suoi lavori, delle guerre, dell’amore, del mare e della montagna. Sa e può parlare di tante cose, di tanta vita, la sua e degli altri.
È domenica 14 marzo, siamo a Perugia e il Pavone è gremito. Erri De Luca è il protagonista de “Le grammatiche di uno scrittore” un incontro con il pubblico nell’ambito di “OICOS riflessioni”, condotto da Lorenzo Chichiù. Sul palco libri e luci di abat-jour fanno da cornice alla voce dello scrittore napoletano che, parlando delle sue opere di traduzione dei libri della Genesi, testimonia come la traduzione stessa debba essere letterale, per “non togliere luce all’originale”, ma anche per conservare il valore reale della parola, il suo simbolismo e il suo valore numerico.
Alla fine dell’incontro ci avviciniamo a lui: sta firmando libri e fogli per i suoi lettori, per chi lo conosce già e per chi lo vuole conoscere di persona. Ha già detto molto sul palco, ma vorremmo sapere qualcosa di più. E il Maestro, da gran signore, non ci nega questa soddisfazione.
Erri De Luca, il peso della parola
Nei suoi discorsi l’abbiamo sentita spesso usare una parola molto bella, molto musicale, figlia del dialetto napoletano: “scuorno”, ovvero “vergogna”. Lei è un grande conoscitore dell’animo umano: si è mai chiesto perché oggi la gente non prova più vergogna, o almeno sembra aver perso il timore di vergognarsi di qualcosa, che siano misfatti o calunnie?
«Credo che la vergogna sia un buonissimo sentimento. Bisognerebbe allenarsi a provarla, non solo nei confronti di qualcosa che uno può aver commesso, di qualcosa di impreciso, di sbagliato, di osceno, ma anche verso ciò che succede intorno a noi, verso l’andazzo di ciò che dà particolarmente fastidio. La vergogna è un sentimento “politico”, molto più della collera, perché ti costringe a rispondere, a toglierti di dosso quella “rogna” quasi fosse una malattia venerea, insistente. Oggi manca il sentimento della vergogna perché mancano sentimenti politici veri».
A volte si resta sorpresi nel confrontare “modi di essere” distanti qualche decennio fra loro: ci è capitato recentemente di ascoltare e seguire interviste televisive che vedevano protagonisti personaggi che si fronteggiavano, a volte anche in maniera dura e decisa, ma senza mai perdere il rispetto dell’avversario. Secondo lei cosa è successo all’Italia degli ultimi vent’anni? E soprattutto cosa è successo agli Italiani, visto che è diventato quasi impossibile confrontarsi costruttivamente anche su temi di vitale importanza?
«Il rispetto tra le parti è un “sacro” sentimento che si instaura, sembra curioso dirlo ma è così, quando ci sono “le parti”… Negli ultimi anni abbiamo assistito, spesso nostro malgrado, alla scomparsa delle differenze fra i diversi schieramenti, e non sto parlando solo di politica. La diversità prodotta dalle idee non c’è più, perché le parti si assomigliano sempre di più, e per cercare di distinguersi gli uni dagli altri, ricorrono alle grida, agli insulti, all’aggressività e all’offesa. Succede fra “prossimi”…»
La sua partecipazione personale a scontri ideologici e conflitti bellici, fa di lei un uomo che conosce molto bene il rapporto di causa e effetto che ha condizionato alcuni eventi storici del nostro tempo. Quando leggemmo “Tre cavalli” fummo molto colpiti, oltre che dalla bellezza delle sue pagine, dal suo racconto delle vicende dei desaparecidos argentini. Come avvenne il suo incontro con una delle tragedie umane più grandi del secolo scorso?
«Noi siamo stati compagni di lotte rivoluzionarie con tutti i popoli dell’America Latina, in particolar modo con quello argentino, vista anche l’affinità e il coinvolgimento degli italiani. Abbiamo avuto rapporti, scaturiti da una antica “fraternità” nata negli anni settanta, con gruppi combattenti quali i Monteneros e l’ERP, e con tutti coloro coinvolti loro malgrado nel massacro operato dalla dittatura argentina di quegli anni».
Abbiamo appena finito di leggere il suo ultimo, splendido libro, “Il peso della farfalla”. Lei coltiva tuttora la passione per la montagna?
«Sì, assolutamente! Mi piace scalare, mi piace l’andatura a quattro zampe, anzi, regredire all’andatura a quattro zampe…».
Come si vede Erri De Luca fra vent’anni?
« (sorride, ndr) Spero di essere assente… giustificato».
ERRI DE LUCA
per il tema OICOS riflessioni 2009-2010:
“CONTEMPORANEO”
“LE GRAMMATICHE DI UNO SCRITTORE”
Domenica 14 Marzo ore 18.00
Teatro Pavone – P.za della Repubblica, 67 (PG)
Perugia
Un confronto con la lingua e le lingue della scrittura, fin dentro all’essenza della parola. Secondo Walter Benjamin ogni lingua è di per sé la traduzione della lingua originaria, della parola creatrice della Genesi. L’atto del tradurre non è dunque una mera trasposizione di regole linguistiche e di codici, la traduzione non è prioritariamente un veicolare informazioni. In gioco c’è qualcosa di più significativo. Erri De Luca testimonia come la traduzione debba essere letterale per “non togliere luce all’originale” (Benjamin), e come le parole e le cose vadano prese alla lettera.
galleria fotografica di Rossano Donati | Erri De Luca[nggallery id=17]