Cogito Ergo Sum | Penso dunque Sono
Abbiamo visto in un lavoro precedente come la tesi sottostante al celeberrimo Test di Turing, frutto velenoso della corrente verificazionista-operazionista, sia al centro di una nuvola virulenta che ha contagiato la Weltanschauung dell’epoca contemporanea, dove si è reso indispensabile negare (o rinnegare) l’evidenza solipsistica cartesiana al fine di sostituirla con un surrogato di oggettività fittizia. Così, ad esempio, la sensazione del dolore che ognuno di noi sperimenta come la più indiscutibile e certa, diventa in questa nuova ottica una sorta di abbaglio, o meglio – come direbbe Wittgenstein – «un “processo interno”», che non possedendo in sé alcuna trasmissibilità «abbisogna di criteri esterni», se no vale zero: «Io posso sapere quello che pensa l’altro, non quello che penso io» (L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche). E così, per più di una generazione si è assistito alla negazione e ribaltamento del Cogito cartesiano: quell’«io penso» che, rimbalzando su Kant e rotolando su Husserl, si infrangerà poi nell’impatto con la barriera neopositivista. Con Bertrand Russell si passerà dall’«io penso» al «si pensa in me», e Carnap sentenzierà che «dal Cogito non segue il sum; dall’“io sperimento” non segue che io sono, ma che una esperienza è» (R. Carnap, La costruzione logica del mondo). Non c’è da stupirsi, allora, se da queste premesse si sia arrivati oggi al Sum ergo Cogito, “sono dunque penso”. Un’impressionante successione di titoli di articoli, giornali, libri, riportano la nuova conquista del ribaltamento del Cogito cartesiano. Rigirare il filosofo francese a testa in giù è divenuto oramai moda, tendenza, espressione del pensiero contemporaneo. E in questa metamorfosi del Cogito, le prime nozioni sostanziali a farne le spese sono quelle di anima e di dimensione spirituale. Infatti, a cosa serve la vecchia nozione di anima, se addirittura le particelle materiali come l’elettrone hanno coscienza e volontà, come insegna il gruppo di ricerca di fisica quantistica che fa capo al fondatore Niels Bohr? È la materia il reame del mondo, il mattone del TUTTO! Così mentre il neurofisiologo Antonio Damasio cerca di evidenziare bene tale capovolgimento a partire dal cervello (A. Damasio, L’errore di Cartesio. Emozioni, ragione e cervello umano), il fisico-matematico Paul Davis si chiede: «Tuttora non è ancora immaginabile una mente senza cervello. Se Dio è una mente, avrà dunque un cervello? Un cervello corporeo?». Fanno eco scienziati come Changeux e Connes: «Nessuno dirà, salvo certi credenti, che il Verbo esiste prima della Materia!» (J.P. Changeux e A. Connes, Pensiero e materia). Parola d’ordine: sum ergo cogito, emergentismo. Ecco perché negli ultimi anni è entrato in scena, in forma massiccia, un approccio quantistico ai circuiti neuronali, dilatato in modo estremo dalla «Kopenhagener Geist der Quantentheorie» – per usare un’espressione di Heisenberg – nel tentativo di far rientrare i processi biologici come sottoinsieme dei fenomeni quantici. E delle soluzioni definitive relative anche al problema della coscienza e del libero arbitrio si cercano oggi disperatamente in ogni angolo dell’edificio scientifico contemporaneo, in particolar modo nello spazio generato dalla fusione della teoria dei quanti con quella della relatività (cfr. F. Tipler, La fisica dell’immortalità). Si arriva così a definire l’anima, concetto plurimillenario, come una proprietà emergente della materia.
Se così è allora rimane difficile respingere la conclusione radicale del matematico Rudy Rucker: «“Io” sono non tanto i miei atomi quanto la configurazione secondo la quale i miei atomi sono disposti» (R. Rucker, La quarta dimensione. Un viaggio guidato negli universi di ordine superiore). Tutto diventa forma, geometria, virtualmente riproducibile. Persino il “Sé” diventa emergente e virtuale (cfr. F.J. Varela, Un know-how per l’etica; e anche, Il Sé emergente). Degna di nota è la riproducibilità teorica che tale visione implicherebbe: si potrebbe dire, parafrasando la famosa frase di Laplace, che un’intelligenza che in un dato momento avesse posto ogni particella nella giusta geometria, avrebbe realizzato non solo un particolare cervello, ma addirittura una persona umana completa di ricordi, esperienze, “Io”, “Sé” e relativo inconscio. Nulla sarebbe fuori dalla geometria e dal mondo dei quanti: «Se un individuo ha una gamba, o un fegato o un cuore artificiale, è sempre la stessa persona. Io sostengo che è anche possibile immaginare un tempo in cui si potrà avere un cervello artificiale. Ciò si potrebbe ottenere, per esempio, registrando olograficamente la struttura fisica, elettrica e biochimica del cervello, e quindi trasferendola isomorficamente su un grande chip al silicio o su qualche tipo di tessuto ottenuto in coltura. Presumibilmente si sperimenterebbe questo tipo di trasferimento come un breve periodo di incoscienza, dopo il quale si ricomincerebbe a pensare più o meno come prima. L’intero processo sarebbe paragonabile all’introduzione di un programma in un calcolatore nuovo» (R. Rucker, La mente e l’infinito. Scienza e filosofia dell’infinito ). E non si creda che un tale paradigma possa rimanere semplicemente sospeso in aria come una favoletta per bambini. Una percentuale sempre più grande di persone si lascia trasportare ciecamente dall’onda sensazionalistica della scienza. E nonostante il richiamo di filosofi illustri, come quello di Ermanno Bencivenga, che rileva con amarezza e rammarico come «fra il pubblico lo scientismo è (ahimè) assai più credibile, acquista anzi sempre maggior autorità in quest’epoca di Internet» (E. Bencivenga, I passi falsi della scienza), non riusciamo a fare a meno della malìa di questa fitta schiuma allucinogena. Come afferma il Movimento Raeliano: «Oggi, noi abbiamo la tecnologia per vivere in un tale paradiso e noi abbiamo la mente rivoluzionaria di una filosofia che ci dà il potere di farlo. […] È giunto il tempo che gli esseri umani sostituiscano il monoteismo con la Scienza, che dovrebbe diventare la nostra sola religione». Ecco il prezzo del ribaltamento del Cogito.
Eppure, l’idea del sum ergo cogito, della materia che si evolve nel pensiero, non è nuova. Oltre due millenni fa, il pitagorico Simmia suggerì a Socrate la sua teoria emergentista: il discepolo di Pitagora cercò di convincere Socrate che la psychè, l’anima, è funzione del corpo, come ben descrive Platone nel suo Fedone: «In una lira ben accordata l’armonia è qualcosa di invisibile, incorporea, bellissima e divina; invece la lira e le corde sono corpi e sono di forma corporea, composti, terreni e, insomma, dello stesso genere delle cose mortali. […] Ebbene io credo, o Socrate, che anche tu sappia che noi pensiamo dell’anima all’incirca questo, e cioè che, come il corpo è costituito dall’equilibrio di caldo, freddo, secco e umido, così anche l’anima sia una mescolanza di questo genere e una specie di armonia di questi elementi, che nasce quando essi si mescolano in modo conveniente e secondo misura» (Platone, Fedone). Socrate, scrive Platone, benché rimasto affascinato da tale argomentazione, mai la approvò. La confutazione platonica alla tesi di Simmia rimane una delle più grandi conquiste del pensiero greco. Se l’anima fosse armonia del corpo, come potrebbe dominarlo? Ne sarebbe invece dominata, in quanto l’armonia dipende dagli elementi stessi di cui è armonia, e non viceversa. Ci sembra questa la più convincente di tutte le risposte sull’argomento.
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