Siamo sotto il dominio – in questa epoca identificabile per il suo alto grado di prassismo ed efficientismo – di un’influente “filosofia del successo”, dove le nobili e antiche nozioni di principio, essere o sostanza sono accantonate per fare spazio a quelle moderne di fattualità, fenomeno, forma, apparenza. La matrice è la stessa, la medesima che spinge all’indebolimento del piano valoriale e semantico. Si tratta della logica del «funziona!», trasmessa dalla Scienza e alla Scienza. Qui le daremo il nome di “funziolatria”, a causa del suo accecante valore agli occhi dei «dormienti» – per citare un termine caro ad Eraclito – e della nostra immane soggezione e inginocchiamento al suo cospetto. Come si suol dire: se una cosa funziona, funziona! Al di là del fatto se il successo si riveli poi effimero o illusorio: funziona! Davanti a quel dato di fatto, a quel «funziona!», il nostro spirito si arrende, quasi si sente appagato: è la facilità di avere subito – oggi – “quell’uovo” tra le mani senza arrischiarsi nel tortuoso sentiero di cercare “la gallina” dell’affannoso domani. Perché mettere in discussione una cosa che funziona? Perché andare a tormentarsi sulle ragioni di principio se si è alla presenza di un successo? Se funziona, funziona! Come dice il premio nobel Richard Feynman: «La ricchezza filosofica, la facilità, la ragionevolezza di una teoria sono tutte cose che non interessano». Quel che conta è che funzioni! Ma, d’altra parte, non si può pensare di avere il quadro completo della situazione guardandolo dal solo punto di vista del successo, o funzionale. Scriveva Einstein in una lettera del ’49 all’amico Michele Besso: «La maggior parte delle persone si lasciano convincere più dal successo immediato che da riflessioni di principio». Sante parole! Il grande fisico Ettore Majorana aveva già analizzato con profondità la questione, scrivendo con amarezza: «Intanto le scienze, specializzatissime, ritengono di non aver da preoccuparsi minimamente di tali questioni [le basi concettuali, i fondamenti] che con disprezzo dichiarano psicologiche. Né hanno da preoccuparsi di questioni logiche e di problematiche filosofiche». E ancora: «Quel ch’è certo è che i nostri docenti non colgono mai l’essenziale delle questioni e infilzano un teorema dietro l’altro, senza minimamente preoccuparsi di chiarire criticamente quel che di mutante sta avvenendo nella concezione della scienza moderna. Ma se andassi a esporre queste cose all’Università, potrei solo fare, se ne avessi il coraggio, la fine di Boltzmann: suicidarmi».
La Scienza è continuamente tentata dalla logica del «funziona!». Nell’articolo Da Duhem a Feyerabend: il messaggio che l’epistemologia lancia alla scienza, sul secondo numero di questa stessa rivista, abbiamo visto un esempio emblematico: l’avventura “altalenante” delle fasi della scoperta della natura della luce tra le proprietà particellari e quelle ondulatorie. Ad ogni fase lo scienziato ha gridato «funziona!», credendo fermamente di aver trovato la soluzione finale all’annoso problema, prima di essere smentito dalla scoperta successiva. Così, all’interno della stessa struttura della comunità scientifica, la funziolatria invade ogni spazio e infetta ogni cervello. Allo stesso modo, essa, regna nel nostro mondo, anche se ci sono dei casi in cui può essere giustificata. Prendiamo l’esempio dell’Ingegnere. Ci capita spesso di invidiare la sua forma mentis: egli non ha bisogno di vagliare la veridicità della teoria che sta dietro le formule. Per impiegare la sua genialità ha bisogno in verità solo di queste ultime, insieme alla loro applicabilità al reale-concreto, al piano dell’empiria, come usava denominarlo il filosofo francese Jacques Maritain. «Datemi un’equazione e vi ricostruirò il mondo!» potrebbe esclamare l’ingegnere, parafrasando la famosa frase di Archimede. Il successo della formula, però, non deve indurlo nell’errore di credere di poter invertire il ragionamento. «Visto che la formula funziona allora significa che la teoria che le sta dietro è corretta»: questa è un’inferenza tanto diffusa quanto fallace, che la logica medioevale aveva saputo tuttavia arginare. Le errate applicazioni del modus ponens e del modus tollens, così denominate da secoli, sono alla base degli errori della scienza moderna, come dimostra il famoso esperimento di Wason (1966). In un articolo di Owen Gingerich (L’affare Galileo, «Le Scienze», n. 170, ottobre 1982), professore emerito di Astronomia e Storia della Scienza all’università di Harvard, troviamo riportata un’osservazione di questo tipo sul ragionamento che Galileo avrebbe usato a conferma della natura eliocentrica del sistema planetario: 1) se il sistema planetario è eliocentrico Venere presenta le fasi; 2) Venere presenta le fasi; 3) perciò il sistema planetario è eliocentrico. La struttura sillogistica di questo ragionamento è la seguente: [se p allora q], ¦ [q quindi p] : niente di più errato! Ma è un fatto che ci cadano tutti, scienziati compresi. È la tentazione di “arraffare” subito l’uovo del «funziona!» senza aspettare la gallina con le sue “ragioni di principio”. L’inferenza giusta, chiamata in termini medioevali Modus tollens, è la seguente: [se p allora q], ¦ [‘non q’ quindi ‘non p’]. Esiste una serie di esperimenti ormai classici ideati dallo psicologo inglese Peter Wason che dimostrano come “l’errore di Galileo” sia comunissimo nelle inferenze di persone di ogni tipo e cultura (cfr. H. Gardner, La nuova scienza della mente, Feltrinelli 1988). L’esperimento fondamentale di Wason consiste nel mostrare ai soggetti le 4 carte mostrate in figura, sulle quali da un lato vi è una lettera e sull’altro un numero, e viceversa. Il compito è quello di indicare le due carte che devono essere girate per convalidare la seguente regola: «se da un lato c’è una vocale, allora dall’altro lato c’è un numero pari». Il lettore stesso può provare a risolvere da solo il problema prima di proseguire nella lettura. La risposta corretta è girare la E (se p allora q) e il 7 (‘non q’ quindi ‘non p’) in quanto permette di falsificare la regola. Invece la quasi totalità delle persone (il 96 % trovato da Wason) gira la E e il 4, anche se, girando il 4, p può essere tanto vera quanto falsa, senza riuscire in questo modo né a convalidare né a falsificare la regola: dunque girare il 4 non fornisce le informazioni cercate.
Ma il problema della funziolatria epistemologica è ancora più esteso. Si chiedeva il nostro Maritain già nel ’23: «Saprà essa [l’intelligenza comune] comprendere, che una teoria e delle formule possono perfettamente combaciare o coincidere coi fatti, senza darci, per ciò, il reale fisico in se stesso?» Oggi sappiamo che Maritain aveva ragione. Dopo gli studi di pensatori e filosofi come Duhem, Poincaré, Hanson, Popper, Kuhn, Lakatos, Quine, Feyerabend, sappiamo che una teoria scientifica può essere falsa e funzionare “perfettamente”! A questo punto l’acclamato successo delle teorie scientifiche in auge ai nostri giorni – come ad esempio la teoria di Einstein – per via del funzionamento delle relative formule, dopo quanto abbiamo detto, è ridimensionabile, visto che le stesse vengono alla luce non solo da altre teorie alternative (ad esempio, quella di Lorentz-Poincaré nel caso della Relatività, come è dimostrato dai numerosi e meritevoli lavori del noto fisico Franco Selleri), ma anche da innumerevoli altre mai formulate. Diceva Platone che «chi vede l’intero è filosofo, chi no, no», contrariamente al sentire contemporaneo, il quale sembra voler spezzare in modo tanto deciso quanto irresponsabile il nesso storico ed epistemologico tra scienza e filosofia, dimenticando che la prima è figlia della seconda: «La filosofia e la scienza sono assai più intimamente legate che non credano gli scienziati che disprezzano la prima e i filosofi che ignorano la seconda», scriveva Antonio Garbasso nel 1910, uno dei rari fisici non deprivato delle conoscenze filosofiche.
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