“Sono costretto a continue trasformazioni, perché tutto cresce e rinverdisce. Insomma, a forza di trasformazioni, io seguo la natura senza poterla afferrare” (Claude Monet)
Questa è una delle frasi più celebri di Monet, pittore impressionista francese, che nel 1916 – 1919 diede alla luce uno dei suoi quadri più celebri, Ninfee Water Lilies, divenuto oggi così contemporaneo. Questo ed altre 60 opere, si possono ammirare nella splendida città di Roma, più precisamente al Complesso del Vittoriano fino al 3 giugno 2018. Il padre dell’impressionismo, regalerà a tutti i visitatori grandi emozioni ad ogni quadro, aspettatevi un’esposizione, egregiamente curata da Marianne Mathieu, che ripercorrerà la carriera artistica e la sua evoluzione, del grande pittore, immergendo lo stesso visitatore in un percorso emozionale. La visita inizia con alcune delle sue celebri caricature, passando attraverso paesaggi rurali e urbani, alle sue amate dimore, per poi arrivare ai dolci ritratti dei figli e alle tele dedicate ai fiori del suo amato giardino. Quando si arriverà ad osservare ed ammirare i salici piangenti si avrà l’impressione che con le sue pennellate e l’utilizzo di colori molto più accesi, egli abbia voluto fare un balzo temporale verso la pittura moderna. Le sue ninfee, il viale delle rose, quella presenza come reale di nebbiolina nei suoi quadri, concludono con infinita dolcezza questo percorso.
Monet e la sua pittura
Claude Oscar Monet, nacque a Parigi il 14 novembre del 1840, pittore francese, uno dei fondatori dell’impressionismo e uno dei massimi esponenti di questa corrente artistica. Come altri pittori, faceva parte di quella “cerchia” che si dedicava alla pittura “en plein air”, all’aria aperta, divenuto poi per lui, un concetto di vita. La grande amicizia con Renoir e Pissarro lo fece entrare completamente nell’età d’oro dell’impressionismo, ma la svolta decisiva nelle sue opere ci fu quando nel 1871, si trasferì in un piccolo villaggio Argenteuil, sulla riva della Senna, qui riuscì a cambiare il suo tocco, diventò più mobile e vibrante. I suoi quadri diventarono un tutt’uno con la natura, la luce incominciò a diventare veramente indispensabile nelle sue tele, come la pioggia, il sole e tutte le variazioni atmosferiche.
La prima mostra del 1874
La prima mostra che diede la possibilità a questi giovani ed innovativi pittori di esporre le loro opere, fu quella organizzata in un vecchio studio fotografico. Aderirono ben trenta artisti, oltre a Monet, anche Degas, Cézanne, Boudin, Pissarro, Berthe Morisot, Renoir e proprio in questa occasione furono chiamati impressionisti. In un primo momento questo modo di chiamarli fu dispregiativo, erano coloro che avevano adottato un modo troppo libero di dipingere. Guardare i loro quadri era avere l’impressione di qualcosa, e non di riuscire a vedere la giusta realtà e i dettagli. Ma gli stessi espositori, che non ebbero subito un buon successo, anzi, furono derisi, accettarono questo appellativo e non si arresero. Ci furono altre mostre e pian piano alcuni critici dovettero rendersi conto che era ormai nata una nuova corrente artistica e non solo; l’impressionismo era un nuovo modo di interpretare la realtà, di vederla con una nuova luce e con degli occhi diversi, più sensibili, perché più coinvolti nell’arte stessa e nella sua percezione sensoriale. Ed ecco che nell’ottocento a Parigi tra il 1860 e 1870 nacque l’impressionismo che durò fino ai primi anni del novecento. Si era diffusa artisticamente una vera e propria rottura con la tradizione, un modo più romantico di rappresentare ciò che si osservava tutti i giorni e la riscoperta della pittura del paesaggio, il contatto con la natura e il modo di percepirla. Non si dava più importanza al soggetto, adesso l’artista era ribelle alle convenzioni storiche e religiose, era importante la soggettività dell’artista, il suo modo si vedere, sentire ed interpretare ciò che osservava. Era diventato importante il colore e non il disegno, era il colore che modellava, che definiva la luce e dava come l’impressione di movimento.
L’impressionismo e la fotografia Il loro rapporto è molto stretto, non solo perché si svilupparono nello stesso periodo ma soprattutto perché queste due innovazioni misero da subito al centro delle loro opere la luce, sia nella creazione delle tele che nelle immagini. Gli impressionisti fecero della luce la vera espressione emotiva e suggestiva nei loro quadri, giocando con i colori, o puri o saturi. Dalla massima brillantezza degli stessi e della luce, al miscuglio tra di loro, dando toni più chiari e sfumature. Gli impressionisti volevano che i colori si mescolassero solo negli occhi dell’osservatore, riuscivano a dare il colore anche a cose che non lo avevano, giocando con la luce, le ombre e quindi i colori. Infatti osservando i quadri di Monet e di altri pittori impressionisti, da vicino si possono notare chiaramente le pennellate, il loro verso, quanto colore è stato utilizzato, lo spessore, come si fondono. Ma se ci si allontana, assumono un aspetto più omogeneo, completamente compatto nella sua sfumatura di colori. Monet seguiva la natura, voleva come afferrarla e metterla nelle sue tele, dargli però vita e movimento e ci riuscì. Ha regalato all’umanità un’infinita dolcezza, eleganza, fragilità e purezza nelle sue opere, e tutte queste sensazioni si possono percepire. Sono opere vive, opere sentite e molto amate dallo stesso creatore e questo ha fatto si che Monet, fosse un grande artista, unico nel suo genere, insieme a tutti gli altri grandi artisti impressionisti che hanno dato luce ed un’anima alla loro tele. Di Emanuela Marotta |
(Sotto l’egida dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, la mostra Monet, è promossa dall’Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali di Roma Capitale, con il patrocinio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e della Regione Lazio ed è prodotta e organizzata da Gruppo Arthemisia in collaborazione con il Musée Marmottan Monet di Parigi.)
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