Sulle orme del grande Giovannino Guareschi: Uno scrittore umorista, un vignettista satirico, un giornalista
Omaggio a Giovanni Guareschi, il più celebre scrittore del Novecento, nel centenario dalla sua nascita (Fontanelle di Roccabianca (Pr) 1908 – 2008)
Uno scrittore umorista, un vignettista satirico, un giornalista. Lo scrittore della Bassa parmense non è stato solo questo: è stato una persona eccezionale che con la sua penna pungente ha raccontato gli anni del fascismo e del comunismo con verità e satira, difendendo sempre con profondo senso cristiano la propria autonomia e libertà di espressione, anche di fronte all’emarginazione da parte dei personaggi politici e di cultura, che non hanno mai visto di buon occhio il suo stile di penna, né compreso il suo carisma di uomo libero che racconta il quotidiano, anche politico, con verità. Giovannino Guareschi è lo scrittore italiano più letto al mondo, le copie vendute hanno raggiunto cifre da capogiro: oltre 20 milioni.
Intervista a Giovanni Lugaresi, grande studioso di Guareschi, giornalista e redattore del Gazzettino di Venezia. Dott. Lugaresi, come nacque il successo di Guareschi?
«Lo ha raccontato lui stesso nell’introduzione a ‘Don Camillo e il suo gregge’. Siamo all’antivigilia del Natale 1946 e a causa delle festività imminenti, bisogna anticipare il lavoro. A quel tempo, oltre che ‘compilare’ Candido, Giovannino scriveva anche su Oggi, settimanale dello stesso editore, Rizzoli. Quel giorno, non aveva ancora scritto il pezzo mancante per completare l’ultima pagina di Candido, mentre era riuscito a scrivere il pezzo per Oggi: composto e messo in pagina. Ma bisognava chiudere prima Candido. Allora, è sempre l’autore a raccontare, ‘feci cavar fuori il pezzetto dall’Oggi, lo feci ricomporre in carattere più grosso e lo buttai dentro il Candido…’ Fu la fortuna di Don Camillo, Peppone e del Crocefisso che parla. Infatti, il primissimo racconto di Mondo piccolo, ‘Peccato confessato’, destinato all’altro settimanale, piacque talmente ai lettori di Candido, che Giovannino ne scrisse un secondo, e poi un terzo, e avanti, sempre col crescente consenso dei lettori, al punto che nel 1948 fece il primo libro della serie: ‘Don Camillo’, del quale in breve tempo si esaurì l’edizione, e dal quale tre anni dopo venne tratto il primo film con Fernandel e Cervi».
“Così vi ho detto amici miei – recita Giovannino nell’introduzione al libro ‘Don Camillo’ (1948)– come sono nati il mio pretone e il mio grosso sindaco della Bassa. (…) Chi li ha creati è la Bassa. Io li ho incontrati, li ho presi sotto braccio e li ho fatti camminare su e giù per l’alfabeto”.
La figura di Don Camillo, parroco della Bassa parmense, capace di un colloquio diretto con il Cristo dell’Altare Maggiore, con i suoi irresistibili diverbi con Peppone, sindaco comunista, hanno conquistato i lettori di intere generazioni. Entrambi i personaggi sono l’alter ego di Guareschi, e trovano un punto di raccordo nel sentimento cristiano: Don Camillo ce l’ha per vocazione, mentre Peppone lo diventa comportandosi come tale nel suo quotidiano.
Quali caratteristiche di Guareschi si possono ritrovare nei personaggi di Don Camillo e Peppone?
«Una profonda umanità, soprattutto, oltre – s’intende – all’attaccamento al mondo contadino, alla terra, al ‘mondo piccolo’, appunto. E poi quella fede semplice, ma profonda, che Guareschi aveva peraltro già testimoniato negli scritti del periodo di internamento nei lager nazisti, e che avrebbe testimoniato tutta la vita».
“Mondo piccolo” rappresenta una serie di racconti scelti che sono stati pubblicati sul settimanale “Candido”, in cui Guareschi racconta, con tono umoristico, la sua “Bassa” in maniera straordinaria, mettendo in rilievo i suoi paesaggi, la gente semplice e ingenua con le difficoltà del dopoguerra.
Quale è il messaggio di Guareschi nel suo ‘Mondo piccolo’?
«È il messaggio dell’uomo di fede, dell’uomo che testimonia poi la vita nella sua quotidianità, in un microcosmo che è un paese, un piccolo punto, nella geografia della Bassa parmense (ma di una Bassa che è poi ritrovabile ai quattro angoli della Terra), fatta di contrasti, polemiche, contrapposizioni, dialettica politica. Ma attenzione agli equivoci. Il fatto che Peppone, il capo dei rossi, alla fine, sulle cose fondamentali, si trovi d’accordo con Don Camillo, non significa anticipazione del compromesso storico, buonismo, e mercanzia del genere. Il fatto è che la concezione dell’uomo di Guareschi prescinde dalle etichette partitiche, dal grado di cultura, dalla condizione sociale, eccetera, per cercare quel che c’è ‘dentro’ l’uomo, nel cuore, nella coscienza. Ancora: da cattolico consapevole, Guareschi distingue fra errore ed errante. Alla fine, si può constatare che Peppone è naturaliter cristiano, perché ogni qual volta disobbedisce alle direttive del partito (a quei tempi, e per molti anni di poi, il Pci era una sorta di chiesa con le sue liturgie, le sue regole, i suoi comandamenti, le sue scomuniche, anche!), compie una buona azione…»
1945: nacque “Candido”. Si tratta di una rivista indipendente settimanale (usciva il sabato, ndr), fondata a Milano in collaborazione con Giovanni Mosca. Dopo il referendum istituzionale del ’46 Giovannino iniziò ad appoggiare la Democrazia Cristiana per la sua profonda fede cattolica e per il suo fervido anticomunismo. Nelle elezioni politiche del 1948, Guareschi si impegnò moltissimo affinché fosse sconfitto il Fronte Democratico Popolare (alleanza PCI – PSI). Famoso fu lo slogan: “nel segreto della cabina elettorale, Dio ti vede, Stalin no”, con cui l’autore contribuì alla vittoria della DC .
Dott. Lugaresi, che cosa ha rappresentato Candido per i lettori?
«Era un appuntamento settimanale importante, nel quale un uomo, giornalista, direttore, che dietro di sé non aveva nessuno (partito, associazione religiosa, circolo culturale, sindacato, eccetera), si batteva con onestà e coraggio per la libertà e la democrazia, contro le forze totalitarie, e impedire che l’Italia da una dittatura drammatica (quella fascista) che era costata lacrime e sangue, passasse ad un’altra ben più temibile (quella comunista). Piacevano l’antiretorica, l’umorismo, il coraggio, di Giovannino, che non ingannò mai i suoi lettori».
Un’onestà di spirito che Guareschi ha conservato anche nei campi di concentramento e nel carcere di San Francesco a Parma dove finì per difendere i suoi ideali.”Non muoio neanche se mi ammazzano” è stato il motto che lui stesso coniò durante quegli anni difficili, in cui, nelle mura della prigione, divenne il punto di riferimento degli amici galeotti, consolatore nella disperazione e nella fame, animatore di lezioni di letteratura. “Il quale diario – si legge in “Diario clandestino” (1946) – è tanto clandestino che non è neppure un diario, ma secondo me potrà servire, sotto certi aspetti, più di un diario vero e proprio a dare un’idea di quei giorni, di quei pensieri e di quelle sofferenze”.
Quale è il messaggio di Guareschi in ‘Diario clandestino’?
«Quel libro raccoglie una parte di quel che Giovannino scriveva e poi leggeva ai compagni di internamento nei lunghi mesi trascorsi nei lager nazisti. E’ un messaggio di fede e di libertà. Guareschi, che si affida alla Divina Provvidenza, e che mai dispera, dimostra che anche fra i reticolati di un campo di concentramento si può rimanere liberi, perché la libertà è prima di tutto un fatto interiore, una condizione dello spirito. Fede e libertà costituiscono, peraltro, il binomio anche degli altri libri del lager: La favola di Natale, Ritorno alla base, Il Grande Diario 1943-1945».
Chi, nella propria vita, non ha mai visto in tv un film della serie “Don Camillo”, interpretato dagli indimenticabili Gino Cervi e Fernandel? Approdarono nel 1951 le opere di Guareschi sugli schermi cinematografici: dalle varie serie di ‘Don Camillo’ a ‘Gente così’, ‘La rabbia’, realizzato quest’ultimo in collaborazione con Pierpaolo Pasolini.
Come nacque il successo cinematografico di Guareschi?
«Guareschi spesso non si trovò d’accordo coi registi che dai suoi racconti traevano i film. Epperò – soprattutto nelle prime due pellicole, regista Douvivier – lo spirito dello scrittore, la sua umanità, la sua fede, emergono con una certa eloquenza. Ciò premesso, possiamo dire che interpreti come Fernandel e Cervi si calarono molto bene, con grande consapevolezza, nelle parti dei protagonisti. Io aggiungerei poi la voce del Cristo crocefisso: nei primi due film di Ruggero Ruggeri; negli altri, di Renzo Ricci, nonché la colonna sonora di Alessandro Cicognini, spesso dolce, sempre compagnevole”.
Come è stato visto il suo percorso cinematografico e letterario dalla politica del tempo?
«Male, naturalmente, stante innanzitutto l’egemonia intellettuale del Pci. Come si poteva considerare un giornalista, umorista, scrittore che aveva inventato la figura del trinariciuto (epiteto dato ai militanti comunisti, ndr) all’insegna della obbedienza cieca, pronta, assoluta, che aveva mandato (letteralmente) in bestia Togliatti? Bisognava dargli addosso. Cosa che il Pci e i suoi fiancheggiatori fecero perfino all’indomani della scomparsa di Giovannino (Cervia – 22 luglio 1968), quando l’Unità titolò che era morto lo scrittore che non era mai sorto. Ma è doveroso, per quel che riguarda il mondo comunista, sottolineare che Oreste Del Buono testimoniò sempre stima e affetto all’uomo e allo scrittore Guareschi. E va anche detto che dalla fine degli anni Ottanta, intellettuali comunisti (o fiancheggiatori) hanno riconosciuto e testimoniato il grande valore del Nostro: da Antonio Faeti (scrittore di libri per ragazzi, ndr) a Michele Serra (giornalista, scrittore, editorialista della Repubblica, ndr). Per completezza di informazione, va detto che pure la critica letteraria e il mondo universitario sottovalutarono Guareschi e la sua opera. Sempre alla fine degli anni Ottanta, Carlo Bo fece ammenda con un significativo scritto su “Gente”, mentre negli atenei le tesi di laurea sui vari aspetti dell’opera guareschiana oggi hanno abbondantemente superato quota cento! Tutto ritorna, insomma, nel senso che i valori autentici seppure in ritardo vengono riconosciuti da tutti».
1969: viene pubblicato postumo “Don Camillo e i giovani d’oggi”, una serie di racconti di “Mondo piccolo”, che comparì a puntate su “Oggi” già nel 1966. Successivamente è stata proposta la versione integrale di questa opera, con l’aggiunta di un intero capitolo inedito e con il titolo che papà Giovanni Guareschi avrebbe voluto: “Don Camillo e Don Chichì”.
Quale messaggio per i giovani in “Don Camillo e Don Chichì”?
«Io direi che il messaggio è soprattutto per gli adulti: i giovani tutto sommato sono il frutto dell’educazione delle famiglie. Quindi c’è la chiamata in causa delle responsabilità degli adulti: elemento riscontrabile in altri scritti guareschiani degli anni Sessanta del Novecento su periodici quali Oggi e Il Borghese. In questo libro ci sono, peraltro, elementi di riflessione riguardanti soprattutto il giovane clero postconciliare freneticamente tutto preso dal ‘sociale’, che non sa più indicare ai fedeli orizzonti più alti di quelli visibili. D’altro canto, in tutta l’opera di Giovannino c’è un insegnamento riguardante l’uomo. Che non è, appunto, soltanto un ventre da riempire o un portafogli da rimpinzare, ma qualcosa d’altro!».
Che riscontro ha avuto Guareschi da parte dei lettori?
«Un successo straordinario, a livello universale, pur in assenza di casse di risonanza quali la critica e il mondo universitario e della scuola, come si diceva prima. Anche nei momenti nei quali di Guareschi nessuno (o pochissimi) scrivevano, i lettori gli sono rimasti fedeli. Fra i suoi lettori – un’altra sottolineatura – ci sono stati personaggi celebri: da Angelo Roncalli nunzio apostolico a Parigi all’attore Spencer Tracy, dal fisico Fermi ad Enzo Ferrari, a don Giovanni Rossi della Pro Civitate Christiana, che avrebbe (il condizionale è d’obbligo, in assenza di un documento scritto) suggerito a Roncalli divenuto papa di affidare a Guareschi la scrittura di un catechismo… Oggi possiamo dire che ai quattro angoli della Terra lo scrittore del Novecento più tradotto del mondo è letto, stimato, amato. Oltre venti milioni di copie di libri venduti sono un emblematico segno di presenza, no?»
Che significato ha l’opera di Guareschi ai giorni nostri?
«Il fatto che si continui a tradurlo (da ultimo, nella Corea del Sud: 50mila copie vendute in due anni) e che in Italia le ristampe dei suoi libri, nonché quelli postumi realizzati dai figli Alberto e Carlotta, ottengano successo, la dice lunga sul significato di quest’opera. Guareschi si rivela autore per ‘tutte le stagioni’. Voglio dire: stagioni della vita di ogni suo lettore, intanto. Perché chi ha letto Guareschi da giovanissimo, non ha poi mai smesso di… rileggerlo e di acquistare pure i libri postumi, nonché le biografie e i saggi su di lui. Poi: stagioni nel senso di lettori di varie generazioni. Tantissimi giovani oggi leggono con vivo interesse Guareschi e ne traggono motivo di soddisfazione, di serenità. Infatti si trovano davanti a un autore, testimone e protagonista del ‘suo tempo’, che ha saputo dare la misura di quel che accadeva nel ‘suo tempo’, che ha saputo esercitare la fantasia con una originalità straordinaria, senza nel contempo mai perdere di vista la realtà. Nemico giurato della retorica, con il suo umorismo ha saputo dare un sorriso sereno – come osservato dal biografo Guido Conti – all’uomo del nostro tempo, e ha saputo mantenere fermi, bene in evidenza, i principi morali, i valori ideali che hanno ispirato tutta la sua non breve ma quanto mai intensa vita. Per cui possiamo, dovendo fare una sintesi, dire di lui che è stato: un uomo vero, uno scrittore grande, un maestro degno del nome, un cristiano consapevole».
Una lezione di vita, dunque, per i giovani lettori ma anche per gli adulti. Una passione per lo scrivere del quotidiano come nessuno mai ha fatto, con il sorriso, con verità e con profondo senso cristiano. Giovannino Guareschi insegna proprio questo: ad amare la vita difendendo i propri ideali e portando Cristo nel cuore. Un tesoro, quello lasciato da Giovannino tra le pagine dei suoi numerosi libri, che i suoi affezionati lettori possono custodire… per sempre.
di Alessandra De Gaetano – disegni di Giovannino Guareschi; fonte: archivio Guareschi, Roncole Verdi (PR) © Alberto e Carlotta Guareschi
Giovanni Lugaresi
Nato a Ravenna nel 1941, ha collaborato con diverse testate, fra le quali L’Osservatore Romano, L’Alpino, Radio Vaticana, Gazzetta di Parma, Rotary, Giornale di Brescia, Alpes, Libro Aperto. Ha pubblicato: Tornare a Nikolajewka (Mup Parma, 2005); “Le lampade e la luce. Guareschi: fede e umanità” (Rizzoli – Milano, 1996 – Superbur, Milano, 2002). E’ coautore di “Don Camillo e il Vangelo dei semplici” e di “Qua la mano don Camillo” (Ancora – Milano). Altre pubblicazioni: “Alpini di pace” (il Prato Editore, Padova, 2002) – 4^ edizione, con introduzione di Carlo Sgorlon; “Anarchico il pensier…” (Neri Pozza, Vicenza, 2000) e “La lezione di Prezzolini” (Neri Pozza, Vicenza, 1998). Lettere ruggenti di Marinetti a F. B. Pratella (Quaderni dell’Osservatore Politico Letterario, Milano, 1970). Vincitore nel 1991 del Premio Guidarello di giornalismo; nel 2001 gli è stato conferito il Premio Giornalista dell’anno dell’Associazione Nazionale Alpini.
Dal 1990 è presidente del Club dei Ventitré di Roncole Verdi (www.giovanninoguareschi.com), l’Associazione di promozione della figura di Guareschi nel mondo.
Il Club dei Ventitré
Associazione di promozione culturale della figura di Giovanni Guareschi nel mondo. Fondata nel 1987 dai figli Alberto e Carlotta Guareschi. Ne è il Presidente Giovanni Lugaresi. Il club dei Ventitré conserva l’archivio di Guareschi che comprende circa 200.000 documenti.
L’attività culturale dell’associazione si articola in diverse iniziative: Il Centro Studi; il quadrimestrale di informazione “Il Fogliaccio”; la Mostra antologica itinerante e permanente; il Premio letterario “Giovannino Giareschi”.
Per informazioni rivolgersi a: Club dei Ventitré, Via Processione, 160 – 43011 Roncole Verdi (PR) – Tel. (39) 0524- 92495 – fax (39) 0524 91642 – mail: pepponeb@tin.it
Sito consigliato: www.giovanninoguareschi.com