PARLO CON LE CANZONI
Mi piace scrivere mentre ascolto la musica, perché riesco ad uscire dai pensieri e a sintonizzarmi nel cuore della melodia.
Non conosco l’inglese, non l’ho mai trovato nel mio percorso d’istruzione e, fra tutti i difetti che posso incontrare per questa lacuna, c’è senz’altro un pregio.
In questo momento scrivo ascoltando Xavier Ruud – Spirit Bird.
Posso al massimo intuire il significato della canzone, per il resto è pura fantasia, immaginazione.
Ma non è forse questo un dono? Non è un talento, umile, ma immenso?
Quale? Quello di riuscire a cogliere l’aspetto positivo delle cose a prescindere dal risultato.
Ebbene, se lo sai fare, significa solo che sei una persona positiva, no?
Che non ti piangi addosso, come se ogni defezione fosse una rinuncia.
Già, io non rinuncio definitivamente mai a nulla e, questo, subisce anche il rovescio della medaglia.
Perché poi non si lascia andare via mai niente: cose, situazioni, lavori, persone, sentimenti…
Ecco, credo che a scuola dovrebbero piantarla di insegnare cose che poi nella vita non servono a nessuno.
Non mi riferisco alla storia, alla letteratura, alla matematica, alla geografia, all’arte…
Il mio pensiero si riferisce semmai all’atteggiamento didattico di un insegnante che, nove volte su dieci, sbobina testi di un libro anziché infondere passione e competenza di un argomento.
Fosse per me, poi, ci sarebbero meno materie e più argomenti di discussione, tipo:
- “come ci si rapporta con chi non è d’accordo con noi?”
- “quant’è importante il buon viso a cattivo gioco?”
- “qual è il ruolo fondamentale di un uomo all’interno della società?”
- “una donna può imparare ad essere femminile o è soltanto una caratteristica innata?”
- “come si fa a lasciare andare via un ricordo?”
- “qual è la differenza tra prendere e dare?”
- “come si riconosce il proprio talento?”
- “come ci si approccia alla spiritualità senza perdere il contatto con la realtà?”
State pensando che stia esagerando, non è vero? Eppure ho soltanto scritto qualche domanda spontanea che m’è venuta in mente per caso.
La verità è che ho sempre sognato di emozionarmi per qualcosa.
Non ho un buon rapporto con la stabilità, la quotidianità e tutto quello che fa rima con costanza.
Vivo di alti e bassi, di ombra e di luce, di gioia o di dolore e non riesco a fare a meno di sognare un “mondo diverso, con stelle al neon e un poco di Universo”. (Rino Gaetano – Io Scriverò)
Non riesco ad andare incontro a quella corrente di vita simulata, tradotta dall’egoismo in menefreghismo.
Mi piace la pelle, il contatto sincero di un abbraccio senza tempo, la spontaneità di chi sa aprirsi liberamente, incurante del giudizio.
Adoro le anime che valorizzano un incontro, come fosse il principio di un nuovo apprendimento.
Quelle che rispettano il tempo, dedicandolo ad oltranza quando sanno riconoscerne il valore.
Mentre scrivo non penso, scrivo e basta.
Poi mi rileggo, non per ego, lo faccio perché sono una delle uniche persone che conosco, che è in grado di comprendermi.
Mi faccio compagnia, lo faccio spesso.
Mi cullo, mi adagio, mi consiglio, mi accetto, mi scuoto e a volte mi perdo.
Prendo per buona la canzone di Ligabue – Male non farà.
“Appoggiati a me, che se ci dovesse andar male, cadremo insieme…”
Ecco, costello i miei pensieri con queste ed altre filosofie.
Mi fido delle canzoni, come fossero consigli, discorsi d’altri tempi.
Non è che sono sociopatico, sia ben chiaro… È che faccio fatica a trovare sensibilità nelle persone che conosco. La maggior parte di loro si nasconde, recita una parte, chiede, prende e se ne va.
Ma non lo fanno necessariamente per cattiveria, “beata” ignoranza semmai…
Lo accetto, ma non per questo dovrei cambiare.
Il punto è un altro.
Quando si apprendono nuove consapevolezze è impossibile tornare indietro.
È come se qualcuno vi chiedesse di disimparare il vostro mestiere: non lo puoi fare.
Diciamocelo.
Tutti abbiamo bisogno di condividere ciò che siamo…
Poi, c’è chi è più profondo o chi vive soltanto in superficie. Ma, sia nel primo che nel secondo caso, la necessità rimane la stessa.
E allora accetto volentieri questa parte di me, quella che parla con le canzoni.
Anzi, se devo essere sincero, non l’ho mai trovata folle, è sublime ogni pensiero che riescono ad infondermi.
Il climax animico l’ho provato poche volte.
Ma nella sincronicità, nella serendipità, ho fissato i caposaldi della mia umile vita.
La felicità non è viaggio passato o un ricordo che si insidia nella mente. La felicità è saper vivere il presente con il sorriso appiccicato addosso, come fosse un vestito di gioia. Come fosse un premio da ritirare, quando a te bastava solo partecipare.
La felicità ora è qui e continuerà nel tempo; ogni volta che mi parlerò, rileggendo queste parole.