30 Maggio 2012, Assisi.
Trenta, come i giorni di maggio passati. Trenta, come gli scudetti vinti dalla Juventus. Uno, l’ospite d’eccezione di questo evento. Uno, come il numero che ha indossato per tanto tempo a difesa proprio dei colori bianconeri. Uno e come lui non c’è stato nessuno: Stefano Tacconi.
Il bellissimo ristorante di Petrignano “Il Parco dei Cavalieri” ha ospitato la festa organizzata da Leonardo Rosatelli in onore dei 30 scudetti vinti dalla Juventus. Senza entrare nelle polemiche numeriche, o rivendicare le proprie ragioni, abbiamo rotto gli indugi con Stefano Tacconi.
Insomma, quanti sono questi scudetti della Juventus?
“Trenta sul campo. Il resto è tribunale, non è sport…”
Da ex calciatore e modello sportivo nazional popolare, come stai vivendo l’attuale scandalo del calcio scommesse?
“Sono eventi catastrofici che capitano una volta ogni decennio. Proprio come i terremoti, ti portano via la serenità, la certezza della quotidianità e ti lasciano un senso di vuoto difficile da colmare. Un po’ come nella vita, c’è sempre chi non vuol capire. Più potere prendi e più ne vuoi… La cosa che mi sorprende sono le vittime di questo sistema. Ai nostri tempi avremmo dovuto vendere una partita ogni 5 minuti per guadagnare quello che guadagnano gli attuali calciatori in un mese. A volte occorre essere retorici: la professionalità, la voglia, i nostri valori. Non ci sono più! I colpevoli? Chi sbaglia deve pagare ma, a differenza degli altri anni, anche la magistratura non è più la stessa. Ora vai in prigione, poi devi dimostrare che sei innocente! Certo, questa filosofia è adottata soltanto per questi casi televisivi. Nella criminalità reale, gli assassini, i ladri e gli stupratori godono della vecchia moda. Ma d’altronde siamo italiani, scommettiamo che non cambieremo mai?”
Gattuso, in una delle sue ultime interviste ha sottolineato la mancanza di rispetto dei calciatori più giovani…
“Basta guardare Balotelli e capisci subito i valori. Per intenderci, è un bravo ragazzo, ma è anche l’esempio del giocatore giovane che a 20 anni guadagna una valanga di soldi e fatica a rimanere in contatto con gli altri, a rispettare le regole comuni. Prima o poi cambierà anche lui, sempre se decida di proseguire la carriera. Ai miei tempi uno come lui sarebbe stato sempre a rischio di tibia e perone (ride, ndr).”
Quali sono le altre grandi differenza tra il nostro calcio e quello vissuto da Stefano Tacconi?
“La fame. Oggi se ne fregano dei risultati, hanno già i soldi in banca. Una volta si lottava per un progetto sportivo. Adesso si gioca per il premio scudetto. Negli ultimi anni hanno sempre vinto le squadre più ricche, oltre ad essere piene di campioni. Soltanto quest’anno ha trionfato la voglia di vincere. Non è stato un caso. Antonio Conte è riuscito a trasmettere i valori di un tempo. Ogni volta che la Juventus è scesa in campo non è mai uscita con lo stomaco pieno, semmai affamata come prima di iniziare. Fame di vittorie, fame di sport.”
A proposito di Conte, tu che sei stato suo ex compagno di squadra, che opinione hai nel suo coinvolgimento sullo scandalo scommesse?
“Ho conosciuto Conte nel mio ultimo anno con la Juventus, ‘90/’91. La sua vita dentro e fuori dal campo è costellata di sudore e passione. Se avesse voluto vendere una partita in quel periodo, avrebbe senz’altro scelto quella con il Lecce (la sua terra, ndr). Invece è stato addirittura aggredito dai suoi concittadini (per aver giocato solo per la vittoria, ndr). Non concepisco chi parla e sputa fuori i nomi solo per salvarsi. Non solo nel calcio, nella vita accade lo stesso. Poi si sa, ci sono giudici e magistrati che pur di far carriera…”
Amarcord bianconero: qual è stato il momento più bello della tua carriera?
“Non ho mai accettato ruoli da comparsa. Il mio carattere non ammette controfigure. Voglio essere protagonista e non posso che ricordare Tokyo. Finale della Coppa del Mondo di Club (all’epoca Coppa Intercontinentale, ndr), dopo il pareggio dei tempi regolamentari, parai due rigori. Quell’emozione è ancora viva.”
Cosa ti manca più del campo?
“Potrei dire l’adrenalina, lo stadio pieno, ma non è così. Sono sempre stato uno che guarda al giorno dopo. Non rimpiango nulla: ho dato, sono nella storia del calcio italiano, nel museo, nella stella del nuovo stadio. Può bastare, no?”
Cosa fai ora nella vita?
“Il genitore a tempo pieno, devo crescere 4 figli e la cosa mi appassiona molto. Poi faccio altre cose ma con calma, molta calma.”
Un pensiero per i terremotati?
“Ironicamente potrei raccontare la cronologia di tutti i terremoti italiani dal ’78 fino adesso, visto che ho avuto la sfortuna di viverli tutti in prima persona. C’ero in quello della Valnerina nel ’79, in quello tragico dell’Irpinia (giocavo ad Avellino) dove morirono quasi 3000 persone e poi in questi ultimi. Ormai conosco il dramma, il sentimento che si può provare. La natura è l’unico avversario che non puoi battere. Il mio pensiero? Non sono favorevole a partite benefiche o altre iniziative simili. Non si sa mai dove vanno a finire i soldi.”
L’ultima domanda è la stessa che riserviamo ai nostri ospiti “fil rouge”. Dove ti vedi fra 20 anni?
“Al museo (ride e fa gli scongiuri toccandosi, ndr)!”
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