Festival Internazionale del Giornalismo: stop at the top
Ci sono momenti in cui capisci che ti devi fermare. Che la vera forza, il vero coraggio è dire: grazie, ma no. È quello che è successo a me e a Chris con il Festival, una parte molto importante della nostra vita.
Per capire perché dovrei raccontare tutta la storia del Festival: com’è nato, le mille difficoltà, gli errori, com’è cresciuto, com’è diventato un piccolo miracolo in un paese dove il talento, quando ottiene risultati, sembra un’anomalia da risolvere e non da premiare. Senza agganci politici o conoscenze, una napoletana e un inglese decidono di mettere su un evento internazionale sul giornalismo, in Italia. Roba da matti.
Quando ebbi l’idea eravamo in giardino, da giorni parlavamo di come era frustrante lavorare per gli enti organizzando eventi culturali. La voglia di fare una cosa in proprio era sempre più forte: sapevamo esattamente cosa fare e come farlo. «Chris, facciamolo noi: facciamo un festival internazionale del giornalismo». «Bell’idea, amore – la risposta di Chris andrebbe letta con il suo accento anglo-napoletano – ma impossibile da realizzare». E così me ne andai in giro con il mio foglietto A4 e il format di un evento sull’informazione che è esattamente il Festival che oggi tutti conoscete. Cercavamo sostegni istituzionali e finanziatori. Non è stato affatto facile. Anche il mondo del giornalismo mainstream italiano (a parte alcune eccezioni, da cui poi sono nate amicizie) era scettico nei nostri confronti: “Chi sono questi due che vogliono parlare di noi?”, era giustamente il loro punto di vista… Per nostra fortuna si era già in fase distruptive e in questo le dinamiche della Rete – sempre sia benedetta – hanno fatto da testa di ariete.
La prima edizione, con molti sforzi, riuscimmo a metterla su con 80 mila euro… Se ci penso oggi! Una follia, ma la risposta del pubblico fu immediata, spiazzante. Facemmo un sacco di errori, il programma era – come dire – conservatore, senza vere spinte innovative. Le critiche da questo punto di vista – ciao Luca Conti, come va? – ci fecero molto bene. Dalla seconda edizione si creò una piccola magia: c’erano persone che volevano partecipare con le loro idee, le loro proposte (mitico “popolo del web”). Era l’economia del dono, solo che non lo sapevo. Si mise in moto una rete di conoscenze e saperi a disposizione del Festival, e il programma si arricchì, lo vedemmo crescere di anno in anno, ampliare e intensificare il suo taglio internazionale (moltissime proposte arrivano ogni anno anche da giornalisti, esperti e istituzioni straniere). Così in pochi anni #ijf è diventato uno degli eventi sul giornalismo più importanti e apprezzati a livello internazionale. Non è una storia incredibile?
Cos’è successo? Vallo a spiegare a chi dice che il web isola ed è un modo per “compensare” la nostra solitudine. Era nata una comunità che ogni anno accoglieva nuovi membri intorno al Festival e cresceva sempre più. La cosa in assoluto più bella sono però i volontari. Arrivano sempre puntualmente migliaia di richieste: di solito Chris seleziona gli stranieri. Una volta leggendo i curriculum mi disse: «Ma com’è possibile questa cosa, ma cosa abbiamo creato? Sono giovani, pieni di entusiasmo, arrivano dal Brasile e dall’Uzbekistan, parlano più lingue, sono incredibilmente preparati e vengono qui a Perugia a fare i volontari… Ma perché? Non è un concerto rock, non è un evento sportivo. È solo giornalismo…».
In questi anni migliaia di giovani sono arrivati a Perugia da tutto il mondo per partecipare al Festival: hanno fatto i reporter, i fotografi, i videomaker, si sono occupati della logistica, delle sale, hanno affiancato l’ufficio stampa, il social media team… Sono nate amicizie, storie d’amore, in tanti li vedi poi in giro per il mondo a fare i giornalisti. Non è commovente tutto questo? Una vera e propria comunità che mesi prima dell’inizio della manifestazione usa Facebook – il gruppo dei volontari #ijf – per conoscersi, organizzarsi, scambiarsi opinioni, idee, consigli. Quando i volontari stranieri arrivano in Italia solitamente trovano i loro “colleghi” italiani ad aspettarli agli aeroporti di Milano, di Roma, e poi in gruppo tutti insieme arrivano a Perugia. Il check-in dei volontari è sempre emozionante. Ogni anno, a partire dal martedì, mi metto a guardarli mentre arrivano: si riconoscono dalle foto su Fb, si abbracciano, si salutano, ridono. Che vitalità, che gioia! Invadono con la loro voglia di fare e di conoscere le strade della città; la sera sono nei locali a ballare, bere, divertirsi, la notte negli ostelli della gioventù, dove li ospitiamo, a fare ammuina fino al mattino… Un mondo che si incontra e continua a vivere anche dopo il Festival.
Senza rendercene conto, tra le nostre mani questo piccolo miracolo ogni anno è diventato più grande, più forte, più innovativo, più entusiasmante. E noi siamo cresciuti umanamente e professionalmente con lui.
Il Festival è stato una piccola grande comunità che si è stretta fortissimo intorno a me e a Chris nel momento più doloroso della nostra vita, durante la VI edizione. Quell’abbraccio lo porteremo sempre con noi.
Per rispetto della fatica, dei sacrifici fatti, della magia e della bellezza di quello che abbiamo creato insieme alle persone che hanno lavorato con noi, per rispetto di questo evento che, nonostante tutto, abbiamo portato avanti sempre con amore, dignità e umiltà, oggi abbiamo deciso di fermarci.
Più il Festival cresceva, diventava importante e più – paradossalmente – diventava faticoso costruire il budget per realizzarlo. «Stop at the top» dice spesso Chris. E ha ragione, se non ci sono le condizioni – e purtroppo non ci sono – bisogna fermarsi. Farlo nonostante tutto sarebbe un errore gravissimo. Il Festival deve continuare a crescere, a essere innovativo, a migliorare. I budget modesti di questi anni non sono più sostenibili. Fare il Festival a ogni costo pur di farlo, magari riducendo ospiti e giornate non è accettabile. O si va avanti migliorando o ci si ferma. Ci farà bene, magari è solo una pausa di riflessione. Se le condizioni si ripresenteranno e saranno quelle giuste per realizzare una nuova edizione degna della storia del Festival, saremo pronti a ripartire. Ma oggi è il momento di dire no.
Ci sarebbero troppe persone da ringraziare per tutti questi incredibili anni. Soprattutto lo staff, una squadra eccezionale di giovanissimi talenti: lo sapete quanto vi amiamo e stimiamo. Ma è bello dirvelo ancora una volta e pubblicamente. Anche grazie a voi abbiamo organizzato un evento interessante, divertente, e soprattutto aperto e onesto. E ovviamente gli sponsor che ci hanno creduto da subito e ci hanno sostenuto come hanno potuto.
p.s. Il sito e i nostri account social continueranno a lavorare, aggregare, produrre contenuti. Ci piace pensare a International Journalism Festival come un laboratorio di pensiero. Nel nostro piccolo vogliamo continuare a contribuire alla conversazione, al dibattito e al confronto sui tempi del giornalismo. Lunedì alle ore 11 siamo all’Hotel Brufani per un incontro pubblico con i giornalisti, i commercianti, i cittadini; un incontro aperto a tutti – così come è sempre stato il Festival – per parlare di questa decisione e rispondere a eventuali domande.
Quindi questo non è un addio: è un saluto di cuore verso tutte quelle persone che, negli anni, abbiamo imparato a conoscere, rispettare e amare.