DAFNE
lunedì 1 aprile – Cinema Postmodernissimo di Perugia
La sorprendente Carolina Raspanti ospite con il regista Federico Bondi
Lunedì presenteranno Dafne, premiato all’ultimo Festival di Berlino
Questo lunedì, 1 aprile, al PostModernissimo è in programma una serata speciale dedicata al film “Dafne”, vincitore del Premio Fipresci nella sezione Panorama dell’ultima Berlinale e uscito nelle sale lo scorso 21 marzo per la Giornata Mondiale delle Persone con Sindrome di Down. Saranno ospiti il regista Federico Bondi, la protagonista Carolina Raspanti e la sceneggiatrice Simona Baldanzi, con il critico Simone Rossi a coordinare l’incontro (inizio alle 21.30). Un’opera che rappresenta un invito ad abbandonare l’atteggiamento rigido del pregiudizio e sentimenti come la paura, a volte persino l’orrore o più spesso la compassione davanti al diverso; “Dafne” riesce a farlo grazie all’ironia e, contemporaneamente, all’estrema serietà di cui la protagonista si fa portavoce. Una commedia drammatica o un dramma in chiave di commedia, realizzata attraverso una commistione di generi sempre senza trasformare la disabilità in tema d’intrattenimento, dove si può ridere e piangere allo stesso tempo.
Il film narra la storia di Dafne, che ha trentacinque anni, un lavoro che le piace, amici e colleghi che le vogliono bene. Ha la sindrome di Down e vive insieme ai genitori, Luigi e Maria. L’improvvisa scomparsa della madre manda in frantumi gli equilibri familiari. Dafne è costretta ad affrontare il lutto e trova la forza di reagire grazie all’affetto di chi le sta intorno, nonché alla propria determinazione e consapevolezza. Ma la protagonista deve anche a sostenere il padre, sprofondato nella depressione, riuscendoci solo quando accade qualcosa di inaspettato: intraprenderanno insieme un cammino in montagna verso il paese natale di Maria, e, nel tentativo di guardare avanti, scopriranno molto l’uno dell’altra.
«Qualche anno fa – racconta il regista Federico Bondi – vidi alla fermata dell’autobus un padre anziano e una figlia con la sindrome di Down che si tenevano per mano. Fermi, in piedi, tra il via vai di macchine e passanti mi apparvero come degli eroi, due sopravvissuti. Dafne nasce da questa immagine-emozione, la scintilla che mi ha spinto ad approfondire. Sono entrato con curiosità in un mondo che non conoscevo, finché ho avuto la fortuna di incontrare Carolina Raspanti, con cui è nata un’amicizia fondamentale non solo per il film ma anche per la mia vita.
Sul set, la sua presenza si è rivelata un esempio per tutti: Carolina non subisce la propria diversità ma la accoglie, ci dialoga, vive la sua condizione con matura serenità. In un mondo che “obbliga” all’efficienza e all’illusorio superamento della sofferenza (esiste ormai anche la pillola per il lutto!), Carolina/Dafne ci ricorda di accettare, nei suoi limiti, la condizione in cui ci troviamo e di viverla pienamente.
Oggi in Italia sono quasi quarantamila le persone con la sindrome di Down. Non è una malattia, è una condizione genetica che accompagna per tutta la vita le persone nate con un cromosoma in più. Tuttavia, non esiste una persona Down uguale a un’altra, proprio come non c’è una persona normodotata uguale a un’altra. Carolina è Dafne. La “realtà” è stata l’ispirazione e il metodo mentre scrivevo e mentre giravo. Non è stata Carolina ad entrare nel film (non ha mai letto una sola pagina della sceneggiatura), è stato il film a piegarsi a lei. Potevo permettermi di “tradire” il testo originario ma non la fiducia di Carolina, che esigeva rigore, rispetto, ascolto. Tutti stimoli per tentare di restituire dignità alla sua storia, al suo sguardo e a quella stretta di mano alla fermata dell’autobus».
La sceneggiatura è rimasta chiusa nel file di un computer per molto tempo, finché il regista non ha incontrato Carolina Raspanti, che ha messo se stessa in Dafne e ha, al contempo, trasferito Dafne in sé. Perché Carolina, come ha dichiarato Bondi, non ha letto un rigo della sceneggiatura che è stata rispettata ma anche adattata di volta in volta grazie alla piena consapevolezza da parte dell’attrice della propria condizione. Fondamentale è stata l’intuizione che Carolina/Dafne non andava “guidata” ma accompagnata nel film perché solo così avrebbe potuto venire progressivamente in luce la complessità e al contempo la linearità di un’esistenza alla cui base sta una sincerità profonda che accomuna tutti i Down. Che sanno essere anche crudeli e ruvidi (come Dafne lo è col babbo) perché capaci di cogliere i punti deboli altrui e di portarli allo scoperto non per cattiveria ma per la costante ricerca di un rapporto che sia privo di finzioni.
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