Giobbe Covatta, l’esploratore racconta…
«E Dio creò Adamo dal fango, lo creò a sua immagine e somiglianza e poi ci sputò sopra.E Adamo, asciugandosi il viso, disse: “Cominciamo bene!”» (Parola di Giobbe – 1991)
Così parlò Giobbe Covatta, anni fa. Impossibile dimenticare le sue battute e i suoi monologhi, in TV e a teatro. Giobbe Covatta è uno di quei (pochi) personaggi del mondo dello spettacolo con cui parleresti per ore, e poi lo inviteresti a cena per poter continuare a scherzare “seriamente” e a farti raccontare dei suoi viaggi, delle sue esperienze e del mondo che non conosci. Lui, invece, di cose ne ha viste e ne ha fatte. In questi giorni è in turnèe con il suo nuovo spettacolo: “30”, uno show da non perdere, che ha come filo conduttore i trenta articoli della “Dichiarazione universale dei diritti umani”. E le battute a raffica che hanno fatto la storia del comico tarantino? Non potevano mancare, ovviamente… Perché con Giobbe Covatta ci si diverte, si riflette, si sorride e a volte ci si incazza pure, come direbbe lui. Al termine dello spettacolo tenuto al Cinema Teatro Esperia di Bastia Umbra, la redazione di fil rouge lo ha intervistato, grazie anche alla gentilezza di Paola Rotunno e dell’ATMO di Bastia. Molto sapevamo, di Giobbe, testimonial ormai da qualche anno di AMREF (African Medical and Research Foundation) e di Save the children; moltissimo abbiamo scoperto al termine di una lunga e piacevolissima chiacchierata…
Intervista a Giobbe Covatta
Carissimo Giobbe Covatta complimenti! Il tuo spettacolo è davvero coinvolgente. “30”, oltre a divertire, tocca le corde della coscienza di ciascuno di noi. Ma secondo te è possibile che la coscienza ce l’abbiamo solo noi che andiamo a teatro, al cinema e leggiamo libri? Per quell’altri che si può fare?
«Guarda caso, proprio in questi giorni leggevo un vecchio articolo di Pier Paolo Pasolini, scritto ben 35 anni fa. Un capolavoro. L’articolo prendeva spunto dal massacro del Circeo per descrivere l’azzeramento delle coscienze da parte della televisione e della scuola. Una cosa da brividi, che sembra scritta ieri e invece è del 1975. Temo non si possa fare molto a questo punto, se non una rivoluzione culturale, visto che una vera rivoluzione, con tutto ciò che essa comporta, non è auspicabile…»
Come fa un popolo scoglionato e assopito a fare la rivoluzione culturale?
«Ecco, questo è un problema. Perché per una rivoluzione culturale, oltre ai giornali, alla TV, alle scuole, ai libri e tutto il resto, ci vuole la cultura, e non è che ce ne sia proprio molta, in giro… A tal proposito, temo che se si facesse l’esame che la Lega richiede agli extracomunitari sulla conoscenza della legge, della lingua, della Costituzione e della storia italiana, ho l’impressione che in Italia resterebbero solo gli extracomunitari… E chi c…avolo la conosce più la lingua italiana?!?»
Sono circa venti anni che fai spettacolo: cos’è cambiato e com’è cambiata l’Italia e gli italiani in questi anni?
«L’Italia cambia, come cambia tutto il resto del mondo. C’è una regola, forse sciocca ma sacrosanta, un percorso storico che ritorna sempre: si parte dalla dittatura, ovvero la schiavitù, per arrivare alla libertà, poi si passa al benessere e all’opulenza, poi all’arroganza, quindi all’accidia, che è l’anticamera della dittatura. Funziona così, ininterrottamente dai tempi degli assiri e dei babilonesi…»
Ti emoziona di più il pubblico di un piccolo teatro o il pensiero di aver registrato in tv davanti a milioni di spettatori?
«Sinceramente mi emoziona di più il pubblico del teatro, anche perché hai il riscontro immediato del gradimento e del coinvolgimento della gente, mentre quando registri in TV, oltre al fatto che scopri dai giornali nei giorni successivi quanta gente ti ha visto, il più delle volte vedi accendersi la luce rossa e inizi a parlare. A tal proposito, mi ricordo che quando lavoravo in maniera più assidua con la televisione, c’è stato un periodo che anche al semaforo, allo scattare del rosso, iniziavo a parlare! Ovvio quindi che la TV è un mezzo che, lavorandoci, ti emoziona meno: devo dire, a onor del vero, che se tutte le sere per tutto il resto della mia vita, lavorassi in teatro davanti a mille persone, avrei comunque meno spettatori di quanti ne ha Emilio Fede in una settimana con quella cosa lì che provano a chiamare “telegiornale”…».
Già, i conti tornano. Ci racconti come è iniziato il tuo impegno umanitario in Africa?
«Vedi, sin da bambino, ovvero dall’età della fantasia, ho desiderato fare l’esploratore, piuttosto che l’attore…»
…quindi era questo il tuo sogno da bambino…
«… a dire il vero continua ad esserlo anche da adulto! Girare il mondo, scoprire nuove culture e nuovi modi di vivere, a volte così lontani da quelli che conosciamo sin dalla nostra infanzia… questa è la mia idea di avventura, di esperienza di vita: credo sia la cosa più entusiasmante che possa capitare ad un essere umano. Se potessi andrei su Marte, su Venere, andrei in qualsiasi luogo a vedere che succede, come si svolgono le cose… Per cui, le strane vicende della vita ti portano poi a fare un altro mestiere, nel mio caso il comico e l’attore, e io ho cercato di coniugare lavoro e passione, tutto qui…».
E ti pare niente! Qualche giorno fa leggendo dei commenti che ti riguardavano in un blog,
ce n’era uno molto interessante: un ragazzo, dopo aver fatto i complimenti al lavoro che hai fatto in questi anni, chiudeva dicendo: “ora si vede molto meno…Troppo intelligente per i tempi che corrono?”…
«Non credo che il problema sia l’intelligenza, quanto piuttosto gli “argomenti di conversazione”, e mi spiego: nel mondo della TV godo ancora di una certa stima e conosco molto bene la situazione. Quando vai a proporre un progetto, magari ti rispondono :”bella questa cosa sull’ Uganda, ma perché non la facciamo sul derby Milan-Inter?”. A quel punto pensi: “E a me che me ne fotte del derby???”. Non è quindi che ti mandano a quel paese direttamente…»
…ma vorrebbero farti fare ciò che gli pare a loro, quindi non lo fai…
«Diciamo che se decidi di abbandonare certi argomenti e passare ad altri meno complessi e più leggeri, grandi problemi non ne hai a comparire. In questo momento storico però, preferisco parlare di quelli che sono i miei attuali “argomenti di conversazione”».
Parliamo del futuro. Hai in cantiere qualche progetto a cui tieni particolarmente?
«Tanti, da avere il calendario pieno fino al 2170! Non so quale andrà in porto e quale si “squaglierà” prima…»
Dacci un’anticipazione!
«Non so se l’hai capito ma sono un po’ meridionale e scaramantico (ride, ndr)… Ancora non posso dirti niente di certo. Ti anticipo che stavo leggendo Pasolini non a caso, come non è un caso che sto approfondendo gli scritti di Italo Calvino, un autore che amo particolarmente. Poi ho qualcosa in testa che ha a che fare con l’India e il film “The Millionaire”. Vediamo… Male che vada, leggere un libro di Calvino o gli articoli di Pasolini non è mai tempo perso. Tra l’altro ho qui con me molte cose scritte e, dato che non uso il computer, una catasta di fogli che mi accompagna nei miei spostamenti per l’Italia».
In conclusione: il direttore di fil rougeNicola Angione ha una curiosità di cui vuole chiederti conto da qualche anno: se il vero libro della vita fosse “Parola di Giobbe”, come sarebbe il mondo attuale?
«Temo che sarebbe un posto decisamente peggiore! Voglio dirvi una cosa che a volte sfugge ai più, e l’esempio di Beppe Grillo è, negli ultimi, quello più eclatante: il comico non risolve i problemi, il comico li sottolinea, ed è quello il suo dovere… Per le soluzioni, rivolgersi alla politica e ai politici!»
A proposito: i vari politici locali ti rompono le scatole quando vai con il tuo spettacolo nelle loro città?
«No, non mi è mai successo… forse brontolano a casa con le mogli se gli ho rovinato la campagna elettorale, chissà… Ma a me non me l’hanno mai detto».
galleria fotografica di Rossano Donati | Giobbe Covatta
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