Intervista a Valerio Mastandrea
Valerio Mastandrea ci piace. Perché è uno che lo vedi recitare, ma in fondo in fondo non recita poi tanto… Perugia, cinema teatro Pavone: Fabrizio Ricci presenta il suo libro-inchiesta, “Se la colpa è di chi muore”. L’attore romano interviene per una lettura di alcune pagine; un tema scottante, come suol dirsi, un argomento dove i compromessi e le mezze misure servono a poco. Ecco, la schiettezza è la dote che sembra descrivere Valerio meglio di qualsiasi altro attributo. Arriva un po’ in ritardo a causa del treno, però ammette senza problemi che il primo treno l’ha perso lui… Legge in modo un po’ impersonale, ma quando deve esprimere la propria opinione non si sottrae e ci offre il suo (libero) pensiero, senza giri di parole e metafore. Resta un po’ ermetico solo a proposito di un nome: cita un giornalista televisivo (parlando di persone che avrebbero possibilità di dire, ma spesso non possono e non vogliono dire…), ma quel nome, alla fine non lo pronuncia. Lo avviciniamo mentre sta per partire: gli chiederemo di quel nome e non solo, ma l’impressione è che per stavolta, di cinema e dei suoi film non ci dirà molto, se abbiamo capito bene il tipo…
Valerio, ci dici a chi ti riferivi prima sul palco quando hai raccontato di un noto giornalista della TV che avrebbe i mezzi per raccontare i fatti in maniera più approfondita, ma si è uniformato a un certo tipo di sistema? Facci un nome!
(ride, ndr) “E che lo vengo a ddi’ a tte???”
Diciamo che mi piacerebbe saperlo… Prima dalla platea ho evitato di farti la domanda, c’era tanta gente, adesso potresti dircelo…
“Vedi, il fatto è che nel mondo dell’informazione ce ne sono tanti che continuano a fare il loro lavoro, ma che spesso, coscientemente o meno, prendono una certa ‘deriva’, se vogliamo chiamarla così… Ma voi pensate che questo sia un argomento adatto per il vostro magazine?”
Veramente le domande le dovrei fare io, comunque spesso trattiamo anche temi di approfondimento, non siamo poi così superficiali come può sembrare… Infatti eravamo qui a sentirti leggere le pagine di Fabrizio Ricci, e ci ha colpito particolarmente ciò che hai detto nella tua riflessione ad alta voce…
“Sono venuto al Pavone perché il libro di Fabrizio tratta di un argomento che sento in maniera particolare. Non è solo una questione di lavoratori che muoiono mentre fanno il loro dovere (e solo su questo si potrebbe parlare per una settimana intera…), quello che lascia l’amaro in bocca è constatare che il fatto dopo qualche giorno viene dimenticato, sia dalla cosiddetta opinione pubblica ma soprattutto da chi fa informazione, e dovrebbe farlo in maniera seria e costruttiva. E poi, nel momento in cui iniziano i processi (anni dopo che il fatto è accaduto…) si ritorna a parlarne, ma sempre in modo molto superficiale, con lo stesso tono di quando si parla di cinema, di musica o di gossip… Stiamo parlando di morti sul lavoro, gente che perde la vita mentre si guadagna di che sopravvivere, persone che lasciano la famiglia nella disperazione e nel dolore, e a volte nella certezza che il peggio verrà dopo”.
Tu sei molto impegnato nel tuo lavoro, ma ti abbiamo visto in campagne televisive a sfondo sociale, sappiamo che sei uno di quelli che prendono posizione in maniera netta su tematiche importanti e il fatto che tu oggi sia qui a Perugia è solo l’ennesima testimonianza di ciò. Ma come fai a trovare il tempo per fare tutto?
“A me non piace sentir parlare di ‘impegno nel sociale’: qui la questione è se uno si rende conto del mondo in cui vive e insieme a chi, oppure no. E questo vale sia per un attore che per un geometra. Se un cittadino è cosciente e rifiuta di vivere facendo il ‘vago’, fingendo che tutto passa e tutto va bene, il tempo per l’impegno si trova… è solo un problema di volontà, più che di tempo”.
Valerio, sei diventato un attore con la “A” maiuscola. Uno di quelli che la gente va a vedere al cinema, spesso indipendentemente dal titolo del film… Era uno dei tuoi obiettivi? Che si prova?
“Non è completamente vero: ho fatto un film a ottobre che è andato alla settimana della critica a Venezia, è uscito con venti copie e a vederlo non ci è andato nessuno… Diciamo che il sistema è molto più complicato, e se il pubblico avesse la pazienza di cercare di capirlo, si renderebbe conto di quanto è difficile fare cinema nel nostro paese, e di quanti sforzi occorrono per produrre lavori di qualità. Ci vorrebbe un po’ di ‘clemenza’ in più, ma se poi c’è sempre chi vuole dire che il cinema italiano fa schifo… vabbè, pazienza, ognuno ha le sue idee…”.
Però “La prima cosa bella” è un gran bel film, e la gente a vederlo c’è andata…
“Ma che siete matti raga’, mi volete far parlare del film?! Già mi prende male quando sono obbligato a farlo, figurati oggi che non sono qui per questo!”
Appunto…