Nel mare ci sono i coccodrilli
Recensione
Teatro della Filarmonica di Corciano
Nel mare ci sono i coccodrilli è il racconto di un viaggio a lieto fine, narrazione dell’avventurosa fuga del piccolo Enaiatollah Akbari dall’Afghanistan all’Iran, dall’Iran alla Turchia per passare, infine, alla Grecia e terminare la corsa, dopo 10 anni, nella nostra Italia. Una storia vera, tratta dall’omonimo libro di Fabio Geda, che cura inoltre l’adattamento teatrale, che è andata in scena al teatro della Filarmonica di Corciano, per la stagione del Teatro stabile dell’Umbria. Sul palco solo Paolo Briguglia, attore palermitano noto alla critica per i ruoli in ‘I cento passi’ di Marco Tullio Giordana e, fra gli altri, il più recente ‘Basilicata coast to coast’ di Rocco Papaleo, e il chitarrista e compositore Fabio Zeppetella.
In questa assoluta semplicità – due sedie nere e basta – arricchita mirabilmente, nel corso della narrazione, dal disegno luci di Luigi Biondi, il pubblico di Corciano ha seguito in religioso silenzio il racconto di una vita in 120 minuti. La storia degli stenti, la violenza subita, l’abuso nel lavoro di un piccolo afghano, di etnia Hazara, nato, cresciuto e poi fuggito dalla città di Nawa, 20mila anime nella provincia di Ghazni, nelle parole innocenti di un bambino di 10 anni. Nell’ultima notte a casa la mamma lo stringe al petto gli dà tre raccomandazioni di vita (niente droga, niente armi, mai rubare) e lo lascia nella speranza della salvezza. Inizia così il viaggio che a ogni nuova tappa è come un ascendere verso il meglio sperato e il desiderio ultimo di questo bambino sempre in fuga: non volevo più avere paura, dichiara il protagonista. Siamo a metà dello spettacolo, la chitarra di Zeppetella fa il suo ingresso più importante e tutti stiamo con il fiato sospeso in attesa di sapere cosa accadrà ancora.
Si procede: sentiamo la sete e la stanchezza di 30 giorni di pellegrinaggio per raggiungere la Turchia, lo sgomento e la brutalità di 3 giorni rannicchiati sotto la scocca di un camion, vediamo la bella Istanbul e Atene con le Olimpiadi, fino a Torino. Come un proiettile sparato dal Medio oriente, la storia di bambino tragica e toccante di Enaiatollah giunge fino al nostro Paese, alle nostre case, a noi che siamo più o meno quella Danila che gli apre le porte. Nel frattempo, il protagonista ha perso i suoi vestiti e ha imparato un po’ la lingua, ma mai la voglia di tornare a casa, alla madre. Mamma chiama sul finale al telefono, dopo 8 lunghi anni di paura e intemperie. E in quel sussurro c’è tutta l’umanità, dentro e fuori dal teatro, che, sempre, vuole tornare al calore e alla sicurezza unica di quelle braccia lontane.
Nel mare ci sono i coccodrilli sostanzia le foto sui giornali, ridimensiona i trafiletti in prima pagina, umanizza i titoli urlati e le promesse del politico di turno. La storia di Enaiatollah concretizza e rende di carne parole che ormai siamo troppo abituati a sentire pronunciare come guerre etniche, jihad, terrorismo, immigrazione clandestina o rifugiati politici. Ed è uno spettacolo utile. Per noi che abbiamo dovuto assistere, seppur da molto lontano, alle scene di bambini integralizzati e divenuti in poco tempo jihadisti, fondamentalisti e poi assassini, in una parabola devastantemente discendente, la storia di Enaiatollah sarà molto utile. Ci farà riflettere meglio su quanto sia difficile, quando non impossibile, sfuggire al quel destino di sangue e cambieremo idea forse o allungheremo i tempi prima di definire un bambino con un coltello con il nome di assassino. E poi, quando il pensiero rientrerà nella nostra casa, sicuramente potremo affermare di aver capito di più e meglio che tutti, ognuno di noi, con molto molto poco, porgendo una camicia, un paio di jeans e un paio di scarpe da tennis, o per esempio un sorriso può veramente salvare una vita e cambiare il mondo.