Thom Paine ti lascia il tempo di pensare, ti fa le domande poi aspetta.
Aspetta che ognuno abbia il tempo necessario per immaginare la sua risposta.
Inizia a raccontare, a parlare, poi però non finisce, sembra che non sappia cosa stia dicendo. Il suo monologo sembra tutto un gioco di parole vuote, insignificanti, accostate lì a caso come quelle di un ubriaco che cerca di assemblare i pezzi di un passato lontano. Non c’è un apparente filo logico a collegare i discorsi, ogni pensiero sembra essere campato per aria, destinato a svanire nel successivo, come una bolla di sapone dentro l’altra.
Apparentemente. In realtà le riflessioni semi celate che condiscono il monologo “basato sul niente”, hanno quanto di più profondo il “niente” possa nascondere. Tra le righe emerge una profonda capacità introspettiva che ripercorre alcuni degli eventi più significativi dell’infanzia del protagonista. Fantasmi, sogni, giochi, fate, ferite, traumi, il tutto contenuto dietro un’illusoria confusione. Quando, verso la fine, i pezzi del puzzle cominciano a sistemarsi e a ricomporsi, diventa chiaro il senso del percorso narrativo intrapreso, allora scaturisce un senso profondo di attaccamento alla vita, all’amore, a tutto quello che di bello e inaspettato può accadere. Ogni pensiero è un inno alla vita, in tutte le sue manifestazioni.
La personalità e il talento di Elio Germano sono stupefacenti, sembra che Thom e il suo attore siano in simbiosi. È veramente difficile provare a tracciare il limite che separa l’attore dal personaggio, tanto è forte la percezione dell’uno nell’altro. Discorsi iniziati e non finiti, un tentativo continuo di contatto col pubblico, domande senza riposta o solo accennate si susseguono e si rincorrono per poi concludersi con un “Non è meraviglioso essere vivi?”. Il sipario si chiude quasi inaspettatamente, come in una di quelle storie lasciate cadere per parlare d’altro, ma nello spettatore restano quelle domande e ognuno sa di uscire con le proprie risposte.
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