Tributo a Fausto Coppi
W Fausto e il ciclismo che non morirà mai
Sulla telecamera c’è scritto RAI, è un modello degli anni cinquanta probabilmente. Lui la prende in mano e inizia a filmare. Pochi secondi in cui il tempo sembra fermarsi…
Poi c’è uno scatto, bianco e nero: qualcuno su una parete di roccia a lato della strada ha scritto sulla neve “W FAUSTO”. Lui è in bici, sulla destra della foto. Si gira appena per leggere, sembra incuriosito.
Qui invece è in TV con Bartali, cantano insieme vestiti in impeccabili completi grigi e cravatta scura. È “il Musichiere” di Mario Riva.
Infine la foto più famosa di tutte, quella della borraccia, non si è mai capito chi dà e chi prende, ma è poi così importante?
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Immagini in bianco e nero. Foto ingiallite dalla posa del tempo e spezzoni di pellicole conservate come reliquie. Cos’è che fa di uno sportivo un campione? Cos’è che fa di un campione un immortale?
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Come raccontare ai bambini di questa generazione, ai giovani del primo decennio del duemila, cosa possa significare consacrarsi eroe delle strade sterrate, dominatore delle vette innevate, conquistatore dello spazio e del tempo?
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Domande. Chissà quante domande giravano dentro la testa del Campionissimo mentre, da solo, saliva lo Stelvio, quel giorno di Primavera… Dicono di lui che è stato il più grande, che le sue imprese, oltre a dare nomi a cime e trofei, resteranno nella memoria delle genti a venire.
Non è solo sport, per quanto lo sport possa rappresentare l’immensità dell’umana voglia di competere, contro i propri limiti e quelli altrui.
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Cari ragazzi di oggi, Fausto Coppi è il Ciclismo che è stato e non sarà mai più. Fausto Coppi vinceva per distacco, a volte partendo da dietro, e la sua vita è stata una grande avventura. Fausto Coppi è così grande che… come dirlo? Avete presente l’immenso Valentino Rossi quando vince partendo dalla tredicesima posizione? Superando tutti all’ultimo giro, rischiando l’osso del collo, spingendosi dove gli altri non osano? Sentendo la strada come fosse parte del proprio essere, del proprio cuore, dei propri sensi? Ecco, Coppi è stato tutto ciò, ha fatto questo, ma a bordo di una bici da tredici chili, pedalando e respirando la polvere delle strade di allora, nella morsa del gelo delle Alpi, nel caldo soffocante dei Pirenei, sbaragliando avversari duri come il travertino. Magari non faceva le impennate e le sgommate e dopo aver tagliato il traguardo non si vestiva da pagliaccio e non esponeva cartelli. Non aveva il gruppetto di affezionati che preparano la coreografia sei giorni prima. Non faceva pubblicità per multinazionali che offrono servizi al consumatore e poi una volta che hai firmato il contratto, spariscono e non ti resta che pagare, o i bollettini o un avvocato. Fausto Coppi era uno che se vinceva, l’Italia intera vinceva, anche gli avversari e i tifosi avversi. Come tutti gli uomini, non era perfetto; la sua vita privata era sulla bocca di tutti e qualche casino l’ha combinato. Ma di lui restano, infinite, le vittorie, il racconto di chi sapeva raccontare, le parole di chi sapeva scrivere, la tristezza degli avversari quando hanno iniziato a vivere la sua assenza. Perché Fausto Coppi, da Perfetto Mito, è morto giovane, aveva la malaria, che con un po’ di chinino si guariva, ma non l’avevano capita… Al suo funerale c’erano migliaia di persone, non per farsi vedere, come si fa adesso, ma per onorare lui. Era l’Airone. Un pezzo della nostra Storia, il riscatto di un popolo, l’orgoglio di una Nazione. Vedi la sua immagine in bici e lo riconosci, perché il suo stile era unico, irripetibile, la sua smorfia era quella di chi soffre in silenzio perché soffrire è la sua missione, l’unica cosa che può fare nella vita, ma la sa fare talmente bene che… difficilmente vedrete immagini del Campionissimo in pianura. Lui andava in salita anche quando il gruppo era in discesa. Eppure vinceva.
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Si capisce così? Non lo sappiamo con certezza. A volte ci sembra inutile celebrare l’anniversario della morte di qualcuno. Ricordarne la nascita e le imprese è molto più bello, più poetico, e può succedere che una sensazione di dolcezza possa vincere la tristezza dell’abbandono, la malinconia dei giorni di gloria. Sono cinquant’anni che Coppi è morto, e non si è smesso mai di celebrarlo. Film, canzoni, articoli, racconti, poesie, libri, trasmissioni, gare, memorial, quadri, sculture, l’Uomo ha provato a farlo rivivere in tutte le maniere possibili immaginabili. Ma il vero Mito si tramanda. Nella catena dei nostri DNA ci sono infinitesime frazioni delle immagine di chi l’ha visto da vicino, sulla strada, aspettando “le corse” per ore intere sotto il sole, in mezzo alla calca degli appassionati. Quando ci chiediamo perché questo sport riesce a sopravvivere, nonostante gli scandali, il doping, gli affari sporchi, c’è una sola risposta che si affaccia sui nostri dubbi: il ciclismo è Fausto Coppi, o almeno lo è stato. È un paese intero che aspetta i corridori ai due lati della strada; un uomo solo in fuga, poi il resto del gruppo. Ti passano vicino che sembra vadano in moto, quasi non li distingui. In fondo dura un attimo e poi si torna tutti a casa. Finisce tutto così, ma che emozione grande, è stata…
Tributo a Fausto Coppi – di L. (learcot@gmail.com) – disegno copertina di Luca Marinangeli